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Ma da dove nasce un progetto? – Enrica Lavezzari

Questa è una casa in legno che abbiamo già condiviso e che i nostri ‘follower’ già conoscono… ma è una casa che si è vista solo nelle sue forme. Quello che c’è veramente da scoprire è il cuore di questa casa, l’anima, il carattere, la sua storia… e lo faremo attraverso le parole dell’architetto. Ma prima, lasciatemi fare una premessa!

Oggi vogliamo raccontarvi la storia di Massimo e Loredana, due ragazzi ormai adulti cresciuti in un quartiere di Milano degli anni ’70. Per la precisione siamo a Limbiate, in provincia di Monza e della Brianza. Quella è la loro casa, frutto dei sacrifici dei genitori di Loredana. Ricordi di un’infanzia, di un’adolescenza, di una giovinezza evoluta in maturità. Un corpo e una mente che cambia. Una famiglia che si trasforma, dove i figli diventano genitori e la nonna dona alle nuove generazioni. Ma la casa rimane la stessa, una casa che comincia a stare stretta e inadatta a tutto il mondo che cambia e si trasforma.

 

Draw the pound of the people

Regalare una nuova vita ad una casa che ha già raccontato la sua storia. Questa è stata la sfida dell’Architetto Enrica Lavezzari, titolare dell’omonimo studio di Limbiate.

Prova a consegnare in mano a tuo figlio, a tuo nipote, al bambino che abita di fianco a casa tua una penna e un foglio, e chiedigli di fare un disegno. Tanto più il bambino è piccolo, tanto più incomprensibile sarà il disegno. Ora prendi quel foglio pastrocciato, e trasformalo in un’opera d’arte. Difficile vero?

Questa è stata la sfida del nostro architetto, per gli amici Kikka. Riuscire a trasformare una casa in muratura di un’altra generazione (qualcuno la definirà vecchia, qualcun altro vissuta) in una casa in legno, nuova e moderna, capace non solo di rispondere alle esigenze del nuovo nucleo famigliare ma soprattutto di restituire al contesto urbano di Limbiate un risultato che dialoga in modo trasversale e coerente con il quartiere.

Anni ’70 – 2012

Siamo negli anni ’60 – ’70. Anni d’oro per l’edilizia, che nel giro di nemmeno un decennio ha visto trasformare l’Italia da un paese prevalentemente rurale ed agricolo in un’estensione di grandi sobborghi urbani, dove il cemento è il comune denominatore. Un comune denominatore che trova la sua rappresentazione cromatica nel grigio: il grigio di Milano e della sua periferia, il grigio dell’anonimo quartiere di Via Marco Polo (seppur al limitare del Parco delle Groane), il grigio della casa che ha visto crescere Loredana, poi con Massimo, prima come fidanzati, adesso come genitori. Arriviamo al 2012, i bambini crescono… nasce l’esigenza nella nuova famiglia di dare nuove forme e nuovi colori alla loro dimora. Stretti da una conoscenza personale e da stima professionale si rivolgono all’architetto Enrica Lavezzari. Da quel giorno hanno deciso di dare una svolta alla loro casa, e si… possiamo dirlo… anche alla qualità della loro vita.

Dal grigio al rosso

Mentre le altre bambine, per gioco, ritagliavano stoffe e cucivano i vestitini, io realizzavo le case per le bambole. Una passione dietro al lavoro, un Professionista dietro una passione. Di fronte alla domanda “Da dove nascono i tuoi progetti?”, la prima cosa che si è potuta percepire era timidezza. Non sapeva cosa rispondere. Come ogni cosa che nasce dal cuore e dalla passione è sempre difficile trovare una spiegazione logico razionale a quello che facciamo. Dopo un timido “Non saprei” le parole di Enrica hanno ripreso tono e colore, e con una voce che le veniva da dentro ha detto: “Appena vedo il progetto, l’ispirazione mi viene istintivamente!” Quella casa non aveva identità, ci si passava davanti senza accorgersene: l’architettura era inesistente, così come nulla la qualità dei materiali presenti.  Insomma, era il momento di darci un tono, un tono di colore: il rosso. Il rosso della grinta, della passione e della determinazione. Ci voleva carattere. Era necessario dare una svolta alla casa e al quartiere nel quale ergeva, e urlare a gran voce che cambiare si può, si può uscire dal tiepido grigio e diventare una dimensione forte ed energica, vitale.

Un gioco di equilibri

E’ stato un progetto complesso. Non si è trattato semplicemente di ampliare una casa. Si è trattato di dare nuove forme ad una casa già esistente stando molto attenti al rispetto di tutti quegli equilibri e aspetti che derivavano dal mettere mano a vecchi ricordi per permeare quei segni che ti possono portare a rivivere la casa come era una volta.”. Andare a intervenire su una preesistenza significa a volte andare a cancellare una vita intera, una vita fatta di ricordi, di emozioni, di epoche. Vederla ricostruire, vederla cambiare forma – colore – dimensione – funzione d’uso è come strappare in due un foglio: da una parte c’è la vecchia casa e la tua vecchia vita, dall’altra sta prendendo forma la nuova casa e la nuova vita. Di quella nuova che stai costruendo piano piano, ne hai la percezione tangibile davanti agli occhi ogni giorno, ma di quella vecchia… ne rimarrà solo un ricordo, forse qualche fotografia… e ti ritrovi quasi in difficoltà, a ricordarti la casa ‘come era un tempo’. Dimenticare o non dimenticare, rimanere ancorati al passato o andare avanti, vedere cancellare le fatiche di una vita o lasciare lo spazio al nuovo: questo è il dilemma. Questa è stata la complessità del progetto: entrare in punta di piedi nella vita delle persone per stravolgere “con discrezione” tutto ciò che apparteneva alla vecchia anima della casa. Un’anima fatta di persone in una forma che non apparteneva più a nessuno.

Dicotomia tra forma e sostanza

La difficoltà di questo progetto ha coinvolto prevalentemente la forma. L’abitazione doveva garantire la presenza di due nuclei famigliari: la famiglia di Massimo e di Loredana, e della nonna. La peculiarità di questo progetto è appunto la distonia tra la forma esterna e la percezione interna, che comunicano linguaggi differenti.

In prima battuta incontriamo il numero degli ingressi in contrapposizione ai nuclei famigliari. A primo impatto, dopo un’occhiata più o meno approssimativa è possibile contare tre ingressi, quasi a rappresentare la presenza di tre famiglie abitanti; in realtà queste sono numerabili solo fino a due.

In seconda battuta, ed in seconda occhiata si può notare una disposizione architettonica di un tetto sfalsato, che sembra quasi estendersi in protezione della casa due diversi livelli: dove il primo ha il compito di proteggere la zona giorno formata da soggiorno e soppalco (chiamata anche zona nobile), mentre il secondo ha la funzione di difendere la zona notte.

Infine, la gronda bianca inferiore e sottostante ai due tetti rappresenta un elemento di ancoraggio all’architettura e forma della vecchia casa, un legame affettivo che si è cercato di preservare per mantenere ancora in vita la sfera emotiva e personale legata al passato.

Un aspetto dicotomico, giocato sui doppi colori dell’intonaco, sulle doppie altezza dei tetti, sull’illusionismo del numero di ingressi… che però trova perfetta armonia nell’Interior Design. Ordine, semplicità, pulizia e leggerezza sono le parole chiavi per descrivere l’architettura interna della casa. Tutte le sensazioni e percezioni provate nel vedere nella casa dall’esterno improvvisamente si dissolvono nell’aria e tutto lascia lo spazio, ad un ambiente in perfetta armonia e benessere.

In salita, tra la terra e il cielo.

L’elemento di questa casa in legno che sprigiona il massimo della personalità è indubbiamente la scala. Nuovamente incorporiamo il principio della dicotomia: metà scala in legno, confinante con la metà della casa pre-esistente… come a ricordare le origini dalle quali provengono, metà in vetro, che si erge in direzione obliqua, come ha rompere e irrompere nelle rigide regole di stabilità. Impossibile non notarla, ma delicata nell’armonia estetica della parete. Un oggetto di design dal carattere deciso senza essere invadente. Se l’occhio percepisce estetica e leggerezza, dietro questa scala si nascondono ore di intenso studio e duro lavoro. Le lastre di vetro e la struttura in acciaio che compone la scala scaricano sulla struttura un peso esorbitante, che per reggerlo sono state necessarie tecniche di ingegnerizzazione capaci di articolare la composizione di travi e pilastri in grado di calibrare una corretta quanto ponderata ridistribuzione del peso.

Una casa da vivere

Questa è una casa urbana. Una casa in legno progettata e realizzata per essere vissuta interamente e internamente. E’ una casa immersa nel quartiere della Brianza, ma seppur inserita in un contesto abitativo individuale la casa è stata studiata per essere vissuta da dentro. Il terrazzo, luminoso e fonte di luce, così come il giardino devono essere interpretati nell’occhio di chi guarda come elementi complementari di arredo. E’ una casa nata e finalizzata a se stessa, completi cosi come la si vede internamente.  Se in altri contesti naturali, il prato e il bosco sono stati interpretati nel progetto architettonico per dialogare con la casa… in questo contesto urbano, gli spazi esterni di vivibilità sono da considerarsi come un plus e un valore da aggiungere all’architettura della casa: progettata invece per essere autonoma e indipendente, determinata e grintosa nel rosso colore che la riveste.

 

Ascoltare le persone

Fare l’architetto è stimolante, è bello, è dinamico. Ti permette di entrare in contatto con situazioni così eterogenee tra loro che ognuna di esse ha la capacità di lasciarti con un insegnamento. “Ogni volta che ci ripasso, farei ancora delle modifiche”. Questo è lo spirito giusto (il nostro spirito) con cui affrontare il lavoro, i progetti, la vita. Porsi sempre nuovi obiettivi, non fermarsi mai, non arrendersi mai… mettersi alla prova sempre e dare ogni volta il meglio di sé, imparando sulle esperienze passate. Siamo orgogliosi di avere lavorato con te, Kikka, perché sappiamo di avere contribuito alla realizzazione di un progetto che ha dentro di sé il cuore e la passione di una vera professionista, capace di mettersi in relazione e di sapere ascoltare l’anima del committente.

 

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